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  • Immagine del redattorePaola Cambielli

Quando l'amore per l'arte si trasforma nella Sindrome di Stendhal

Siamo davanti a un bellissimo quadro o a un'affascinante statua. Ma, a un certo punto: tachicardia, capogiri, vertigini, allucinazioni, perdita dei sensi... ecco cosa provoca la Sindrome di Stendhal, detta anche Sindrome di Firenze. Ma cosa si nasconde dietro a questa patologia? E come mai è chiamata in questo modo?

 

Quante volte ci è capitato, camminando per le sale di un museo, di rimanere incantati davanti a un quadro. Magari quell'opera che non vedevamo l'ora di ammirare dal vivo, di cui abbiamo tanto sentito parlare o che abbiamo visto sui libri. Eccola davanti ai nostri occhi. In alcuni casi, l'effetto reale non è proprio quello sperato, come è capitato a me per la Gioconda. Arrivi e scorgi prima la marea di turisti accalcati che la stanno fotografando - o che la stanno usando come sfondo da selfie - poi, quando finalmente riesci ad avvicinarti, la vedi lì, piccina picciò, che si perde in quell'immensa sala.

Un po' una delusione, insomma.

Ma altre volte, l'effetto "wow" è assicurato. E anche di più: un'emozione così intensa da farci stare perfino male. È quello che è successo nel 1817 allo scrittore francese Stendhal, durante la tappa fiorentina del suo Grand Tour in Italia. Ha avuto i sintomi della più classica sindrome del turista: la "Sindrome di Stendhal".


Tutti i segreti della Sindrome di Stendhal

Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.

Può sembrare esagerato o irreale, ma a Stendhal è successo davvero. Lo ha raccontato lui stesso nelle opere "Roma, Napoli e Firenze" e "Napoli e Firenze: un viaggio da Milano a Reggio", composte proprio a seguito di questa folgorazione. Durante la visita alla Basilica di Santa Croce a Firenze, Stendhal ha potuto ammirare così tante opere artistiche di alto livello da uscire pervaso da un senso di confusione e smarrimento.

Basilica di Santa Croce a Firenze, dove è nata la Sindrome di Stendhal

Un vero e proprio disturbo psicosomatico che, secondo i medici, può provare tachicardia, capogiri, vertigini e allucinazioni, soprattutto se le opere d'arte sono localizzate in spazi ristretti o non aperti.

La sindrome prende il nome dallo scrittore francese perché è stato il primo paziente ufficiale, colui che ci ha lasciato delle chiare testimonianze.

Ma nonostante Stendhal sia vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento, è solo negli anni '70 che la patologia viene studiata scientificamente dalla psichiatra e psicoanalista fiorentina Graziella Magherini, quando ha iniziato a curare casi di turisti stranieri che venivano ricoverati d'urgenza dopo aver avuto i sintomi citati poco fa. Ben 106.

Sostenitrice del pensiero freudiano, ha trattato approfonditamente il tema nel 2003, con il libro intitolato proprio "La Sindrome di Stendhal", mentre nel 2007 è andata "oltre la Sindrome di Stendhal", pubblicando "Mi sono innamorato di una statua". Basandosi sugli studi di Freud, in quest'ultimo libro la Magherini si interroga su come arte e psicoanalisi possano essere correlate tra loro e spiega cosa scaturisce in noi quando siamo davanti a un capolavoro di enorme fascino, come il David di Michelangelo.

David di Michelangelo

Hai notato come Firenze sia la città-filo conduttore di tutti questi episodi? Non a caso, alla Sindrome di Stendhal è stato attribuito anche il nome di Sindrome di Firenze. Nel capoluogo toscano, infatti, si sono registrati i maggiori casi di pazienti che hanno manifestato tali sintomi. Se non sei ancora stato a Firenze, devi visitarla immediatamente. Capirai, poi, sulla tua pelle perché ti do questo consiglio. Ma non per farti provare cosa significhi avere la sindrome ;)

Potresti approfittare per andarci proprio quest'anno: il complesso di Santa Croce, infatti, sperimenterà a partire dall'8 luglio un nuovo tipo di visite, basate sul modello del Grand Tour. Avrai l'opportunità di calarti nei panni di Stendhal e di capire com'era concepito il modo di viaggiare ai suoi tempi, più attento alla lentezza, all'approfondimento e alla conoscenza. Lontano dall'idea del turismo di massa.


Ora che abbiamo capito cosa sia la Sindrome di Stendhal, è ora di conoscere un po' tale personaggio


Lo scrittore francese Stendhal, colui che ha dato il nome alla sindrome

Chi era Stendhal? E come mai era così innamorato dell'Italia?

Marie-Henri Beyle - il vero nome che si cela dietro allo pseudonimo di Stendhal - ha passato la sua infanzia e adolescenza a Grenoble e successivamente si è arruolato nell'esercito francese, al fianco di Napoleone Bonaparte. Sono stati proprio quei viaggi a far esplodere in lui il "mito italiano". Viaggiare era un bisogno vitale per Stendhal (caro mio, non sei il solo…).

In primis, il colpo di fulmine con Milano, città che per lui coniuga alla perfezione la tradizione delle arti e della cultura con un approccio più aperto e innovativo. Nel capoluogo lombardo - dove ha abitato dal 1814 al 1821 - si sente così a casa da definirsi "milanese". Voleva essere italiano. Quei sette anni sono stati per lui "la fleur de ma vie", il periodo d’oro della sua vita. L'Italia, inoltre, rappresentava il punto di massima espressione del Romanticismo, quel movimento artistico che mette l'uomo, la storia e la spiritualità al primo posto.

Come ogni artista che si rispetti, Stendhal ha dedicato alla sua amata patria acquisita diverse opere letterarie - oltre alle già citate "Roma, Napoli e Firenze" e "Napoli e Firenze: un viaggio da Milano a Reggio":

  • "Histoire de la peinture en Italie" (1817)

  • "Vie de Rossini" (1824)

  • "Promenades dans Rome" (1829)

  • "La certosa di Parma" (1839) - il suo secondo romanzo più celebre.

Ma Milano non è stata la sola città italiana protagonista nella vita dell'intellettuale francese. Nel 1830 è stato nominato console a Trieste e l'anno successivo a Civitavecchia. Non era difficile per lui, quindi, partire per immergersi nelle bellezze artistiche di un'altra grandiosa città del Belpaese: la capitale.


La Sindrome di Stendhal nel terzo millennio


In un'epoca in cui la tecnologia sta diventando la padrona incontrastata delle nostre vite, l'arte ammirata dal vivo, con i propri occhi, riesce ancora ad emozionare? La risposta sembra proprio di sì. Facciamo un ultimo salto a… indovina dove? Firenze. È il 2016 e ci troviamo all'interno degli Uffizi. Un turista perde i sensi davanti alla Venere di Botticelli e, successivamente, un ragazzo straniero ha un attacco epilettico, sempre contemplando lo stesso capolavoro. L'anno prima, secondo la testimonianza del direttore degli Uffizi Eike Schmidt, durante l'inaugurazione delle sale del Caravaggio, alcune persone hanno un mancamento di fronte alla "Medusa". Tutte coincidenze? Io non ero presente e non sono un medico, ma credo che ci sia lo zampino della Sindrome di Stendhal. D'altronde, anche la poliziotta Anna Manni è svenuta davanti ad alcuni quadri mentre si trovava negli Uffizi. Era il 1996 e stiamo parlando della protagonista del film di Dario Argento intitolato - guarda un po' - "La Sindrome di Stendhal".

La Venere di Botticelli agli Uffizi, alla cui vista alcuni turisti hanno manifestato la Sindrome di Stendhal

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